ALFA 6 / ALFA 90 / FIAT ARGENTA – Tre flop targati made in Italy

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Un bel filmato sull’ Alfa 6 – Clicca Sopra

Alfa Romeo 6

L’Alfa 6 è una berlina prodotta dall’Alfa Romeo dal 1979 al 1987 nello stabilimento di Arese.

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Fu immessa sul mercato con l’obiettivo di competere con le berline di fascia medio-alta sia italiane che straniere, le prime rappresentate in pratica solo da Lancia, le seconde da numerosi modelli, soprattutto tedeschi (Mercedes-Benz e BMW su tutti).

La Genesi e la prima serie  

La progettazione dell’Alfa 6 (codice di progetto “119”) fu avviata all’inizio degli anni settanta e l’entrata in produzione era prevista per la fine del 1973, poiché la Casa di Arese, dopo l’uscita di scena (nel 1969) dalla poco fortunata 2600, voleva rientrare nel settore delle grandi berline a sei cilindri.

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Il “progetto 119” doveva infatti portare al debutto un nuovo motore V6 da 2,5 litri tutto in alluminio, ma la crisi petrolifera seguita alla guerra del Kippur (novembre 1973) sconsigliò i vertici della Casa, allora di proprietà dell’IRI, dal mettere in produzione un’autovettura che percorreva 7 km con un litro di benzina.

Gli shock petroliferi e sociali che attraversarono tutto il periodo 1974-1978 si attenuarono verso la fine del decennio, cosicché, nel 1979, l’Alfa Romeo decise di introdurre sul mercato il frutto del “progetto 119”.

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A quel punto, però, il nuovo modello dovette scontare il ritardo con cui il progetto, impostato e ormai definito in quasi tutti i particolari già da un lustro, venne portato a termine. Sostanzialmente contemporaneo al “progetto 116” (quello che portò all’Alfetta del 1972), il “progetto 119” ne riprendeva infatti molti concetti, sia tecnici che estetici.
Le linee squadrate e la somiglianza stilistica con l’Alfetta furono gli aspetti che più evidenziavano l’anzianità del progetto, ma fecero sollevare critiche anche altre caratteristiche. L’impostazione generale del corpo vettura risentì di un certo squilibrio nei rapporti dimensionali, soprattutto se messi a confronto con quelli dell’Alfetta: a fronte di un aumento del passo di 9 cm, la lunghezza era cresciuta di quasi mezzo metro, che si rifletteva in uno sbalzo posteriore assai pronunciato;

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Un esemplare di Alfa 6 durante i collaudi prima del lancio ufficiale

peraltro la larghezza era più ampia di soli pochi centimetri e anche questo faceva sì che l’abitabilità interna non fosse al livello della concorrenza. Tra i particolari estetici, i gruppi ottici posteriori apparivano molto grandi, i paraurti (in metallo con cantonali in gomma) massicci e la presa d’aria sporgente sul montante posteriore veniva giudicata poco elegante.

 

La meccanica, sempre a motore anteriore longitudinale e trazione posteriore, si distingueva invece per l’assenza dello schema transaxle caratteristico dell’Alfetta;

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le sospensioni presentavano un complesso ponte posteriore De Dion e, all’avantreno, quadrilateri deformabili con elementi elastici a barra di torsione; l’impianto frenante era costituito da quattro freni a disco di cui quelli posteriori entrobordo.

Il punto forte della nuova ammiraglia di Arese era considerato il motore V6 da 2.492 cm³ alimentato da sei carburatori monocorpo (la potenza massima era di 158 CV), abbinato ad un cambio manuale a cinque rapporti montato in blocco col motore. A richiesta era disponibile un cambio automatico ZF a tre rapporti.

Per quanto riguarda l’interno, le finiture venivano giudicate discrete e superiori alla media Alfa Romeo dell’epoca.

La prova della rivista specializzata Quattroruote mise in luce le buone caratteristiche del motore, il comportamento stradale valido, ma anche i consumi elevati e la linea superata.

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L’Alfa Romeo tentò di promuovere la grande robustezza della scocca ma, per colmo di sfortuna, nel 1981 l’attore Gino Bramieri (fra i primi acquirenti del modello) distrusse la sua Alfa 6 automatica in un drammatico incidente nel quale perse la vita l’attrice Liana Trouche. Va detto, però, che l’attrice morì perché fu sbalzata fuori dall’abitacolo in quanto non aveva allacciato la cintura di sicurezza, malgrado la vettura ne fosse provvista; l’attore, comunque, attribuì l’incidente al malfunzionamento del cambio automatico.

Della prima serie, prodotta fino alla fine del 1982, sono stati costruiti circa 6.000 esemplari.

La Seconda serie 

Alfa Romeo Alfa 6 prima e seconda serie messe a confronto

Nel 1983, nel tentativo di risollevare le sorti commerciali del modello, l’Alfa 6 venne sottoposta a un restyling.

Non vennero toccate le lamiere e le modifiche si concentrarono sull’estetica e sugli interni.
All’esterno cambiarono i fari (due trapezoidali in luogo dei quattro circolari, con indicatori di direzione bianchi anziché arancioni), la mascherina anteriore, i paraurti (ora totalmente in plastica e privi di rostri, fatto che fece scendere la lunghezza del modello a 4,68 m) e comparvero nuovi profili laterali paracolpi e inediti spoiler aerodinamici sotto i paracolpi. L’assetto divenne più basso, rendendo la vettura meno massiccia.

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All’interno vennero ridisegnati i sedili ed i pannelli porta, mentre la plancia venne solo ritoccata.

Dal punto di vista tecnico si segnalava l’adozione dell’iniezione elettronica che donava al V6, sempre di 2,5 litri, maggior dolcezza d’erogazione e maggior sobrietà nei consumi. La potenza rimase stabile a 158 cavalli.

Sul mercato interno, nel tentativo di rendere più appetibile fiscalmente l’auto, la 2.5i, disponibile solo nell’allestimento ricco Quadrifoglio Oro (completo anche di aria condizionata e sedili a regolazione elettrica) venne affiancata dalla 2.0 V6 (equipaggiata col V6 a carburatori di cilindrata ridotta a 1.996 cm³ per 135 cavalli) e 2.5Turbodiesel 5 (spinta da un cinque cilindri di origine VM Motori di 2.494 cm³ da 105 cavalli).

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Questi due modelli furono penalizzati nelle prestazioni da una massa inusitata per l’epoca (la 2.0 V6 pesava 1.470 kg e la Turbodiesel 5 addirittura 1.580 kg).

L’Alfa 6 restò sul mercato per altri quattro anni, con un impatto sul mercato sempre più trascurabile, ed uscì di listino nel 1987, sostanzialmente rimpiazzata dalla 164, che contemporaneamente sostituì anche la più piccola 90.

Anche della seconda serie erano stati prodotti circa 6.000 esemplari. Le ultime vetture prodotte, giacenti invendute nel deposito di Arese, furono esportate due anni più tardi in Polonia e in altri paesi dell’est europeo.

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Motorizzazioni  

Modello Periodo Motore Cilindrata Potenza massima Coppia massima Note
2.0 6V dal 1983 6 cilindri a V, benzina 1.997 cm³ 99 kW (135 CV) 178 N·m @4.500 giri/min 6 carburatori Dell’Orto
2.5 6V dal debutto al 1982 6 cilindri a V, benzina 2.492 cm³ 116 kW (158 CV) 224 N·m @4.000 giri/min 6 carburatori Dell’Orto
2.5 6V Iniezione Quadrifoglio Oro dal 1983 6 cilindri a V, benzina 2.492 cm³ 116 kW (158 CV) 215 N·m @4.000 giri/min Iniezione Bosch
2.5 Turbo Diesel 5 dal 1983 5 cilindri in linea, Diesel 2.494 cm³ 77 kW (105 CV) 206 N·m @2.400 giri/min motore di origine VM Motori

 

Alfa 90

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La Alfa 90 è una vettura Alfa Romeo prodotta dal 1984 al 1987 nello stabilimento di Arese.

Alla fine degli anni ’70 l’Alfa Romeo lanciò i progetti 154 e 156, due nuove vetture a trazione posteriore fortemente sinergiche destinate a sostituire rispettivamente la Giulietta e l’Alfetta. La crisi in cui versava costrinse ben presto la casa italiana a rinunciare al progetto di un nuovo pianale autonomo in favore del pianale Fiat Tipo4, allora in gestazione per le future Lancia Thema e Fiat Croma: il progetto 154 fu abortito, mentre il progetto 156 verrà in parte recuperato e riadattato per lo sviluppo di un’ammiraglia a trazione anteriore, la 164.

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Per ovviare ai ritardi nello sviluppo, nel 1982 l’Alfa Romeo lanciò i progetti 162A e 162B, rispettivamente le future 90 e 75, riutilizzando per quanto possibile la meccanica dei modelli allora in commercio, ovvero l’Alfetta e la Giulietta. L’Alfa 90, erede dell’Alfetta, riprendeva dalla sua progenitrice non solo l’intera meccanica (motori inclusi), ma anche buona parte dell’autotelaio, compreso il giro porte. Il compito affidato alla Bertone di ridisegnare solamente la parte esterna delle lamiere non era dei più facili: il risultato finale fu una berlina dalle linee piuttosto squadrate (e un po’ superate), ma non prive d’una certa eleganza.

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Per migliorare la penetrazione aerodinamica sotto al paraurti anteriore si trovava uno spoiler retrattile, che scendeva automaticamente in velocità per effetto della pressione dell’aria. Alle osservazioni del pubblico secondo cui la 90 non era che un’Alfetta rifatta, l’Alfa rispose senza convincere più di tanto che la Bertone aveva sostituito il 70 per cento dei lamierati del vecchio modello. Non contribuirono poi all’estetica altri particolari poco riusciti come la modesta calandra in plastica grigia, le borchie di disegno banale e la posizione del vano portatarga che, sfalsato rispetto alle luci posteriori, rendeva la coda disarmonica.

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Presentata al Salone dell’automobile di Torino del 1984, l’Alfa 90 riproponeva senza modifiche la raffinata meccanica dell’Alfetta: disposizione transaxle (con motoreanteriore, trazione posteriore e gruppo cambio-differenziale al retrotreno), sospensioni anteriori a quadrilateri, ponte posteriore De Dion (che sorreggeva anche il gruppo cambio-differenziale), freni a disco su tutte le ruote (quelli posteriori montati all’uscita del differenziale per ridurre le masse non sospese).

Nelle intenzioni della casa, l’Alfa 90 avrebbe dovuto rappresentare il modello di classe medio-superiore della gamma Alfa Romeo sino agli anni novanta (da cui la scelta del nome).

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Motorizzazioni  Alfa 90

Al momento del lancio erano disponibili due motori, 4 cilindri bialbero di 1.779 e 1.962cc, il V6 Busso con alberi a camme in testa da 2492cc e un 4 cilindri turbodiesel di 2.4 litri prodotto dalla VM Motori di Cento (Italia). La gamma comprendeva:

  • Alfa 90 “1.8” (con alimentazione a 2 carburatori e potenza di 120cv)
  • Alfa 90 “2.0” (con alimentazione a 2 carburatori e potenza di 128cv)
  • Alfa 90 “2.0 Iniezione” (con alimentazione a iniezione elettronica e potenza di 128cv)
  • Alfa 90 “2.5 6V iniezione” (con alimentazione a iniezione elettronica e potenza di 158cv)
  • Alfa 90 “2.4 Turbodiesel” (con potenza di 105cv, successivamente portata a 112cv)

Nel 1985 venne lanciata la “2.0 6V Iniezione”, con un motore derivato dall’omologo 2500, dotato di impianto iniezione Spica in luogo del Bosch Jetronic adottato sul 2500. Disponeva di 132cv.

L’ultimo Periodo 

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Trovandosi a competere con vetture del calibro di Lancia Thema, Fiat Croma e Saab 9000, presentate nello stesso periodo e decisamente più moderne, l’Alfa 90 faticò parecchio a ritagliarsi un proprio spazio. Il colpo di grazia arrivò però dal lancio, nel 1985, dell’Alfa 75, dotata della sua stessa meccanica ma con una carrozzeria dal design più aggressivo e piacevole, cosa che spinse la stragrande maggioranza degli alfisti a snobbare la 90 in favore di quest’ultima.

A poco servì il restyling del 1986, che coinvolse la mascherina anteriore (leggermente modificata) e alcuni dettagli dell’interno, dando vita all’Alfa 90 “Super”.

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Dal punto di vista meccanico le uniche novità riguardavano il motore turbodiesel, potenziato a 105cv, l’eliminazione della versione “2.0 a carburatori” e l’adozione di rapporti più corti per migliorare accelerazione e ripresa, con quinta marcia di potenza. Invariati gli altri motori della gamma.

Prodotta in poco più di quarantamila esemplari, dopo solo 3 anni di produzione nel 1987 fu sostituita (dopo il passaggio dell’Alfa Romeo al Gruppo Fiat) dalla 164, vettura basata sul medesimo pianale di Thema, Croma e 9000.

Fiat Argenta

fiat argenta

Ecco la FIAT ARGENTA – Clicca Sopra

La Fiat Argenta è una berlina di classe medio-alta prodotta dalla FIAT dal 1981 al 1985 ed è l’ultima vettura di grande serie a trazione posteriore costruita dalla casa torinese.

Il Contesto  

Alla fine degli anni settanta, l’invecchiamento della “132” (lanciata nel 1972) pone il problema alla Fiat di studiarne un’erede; per questo motivo, nel 1981, nasce la Fiat Argenta.

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Le risorse finanziarie, tuttavia, sono in quel momento concentrate nella progettazione di una nuova vettura del segmento B (la “127”, presentata nel ’71, e privata delle misure protezionistiche doganali che ne avevano all’inizio favorito l’affermazione, fatica a rintuzzare gli attacchi della concorrenza estera), e non c’è la possibilità di studiare una vettura di segmento medio-superiore completamente nuova. Si opta così per un profondo restyling della “132”, di cui viene conservata la struttura base (pianale, abitacolo e giroporte). Vengono invece ridisegnati frontale e coda (entrambi piuttosto alti e squadrati). Completano il “maquillage” i gruppi ottici rettangolari (quelli posteriori molto ampi), i massicci paraurti e fascioni laterali in plastica, gli spessi profili lucidi e le abbondanti cornici cromate. Anche gli interni vengono completamente rifatti, con un rivestimento dei sedili di un certo tono.

Il profilo di una Argenta

Integralmente ripresa dalla “132”, invece, l’ormai datata meccanica atrazione posteriore abbinata al motore situato in posizione anteriore e retrotreno ad assale rigido.

All’esordio la nuova berlina, denominata “Argenta” (in omaggio, si disse, ad Argenta Campello, giovane figlia di Maria Sole Agnelli), disponibile nelle versioni “1600” (1585cc, 98cv); “2000 i.e.” (1995cc, 122cv) e “2500Diesel” (2499cc, 72cv riconoscibile dagli altri modelli della gamma per il rigonfiamento sul cofano motore anteriore), viene accolta tiepidamente in Italia e gelidamente all’estero.

Nonostante la ricca dotazione di accessori (servosterzo e check panel di serie sulla “2000 i.e.”), la nuova berlina Fiat risultava superata in partenza, afflitta da un aspetto non entusiasmante, da modesta tenuta di strada sul bagnato e da prestazioni poco brillanti a fronte di consumi sostenuti.

Fiat_Argenta posteriore

Nel 1983 il modello è sottoposto ad un restyling: il materiale plastico dei paraurti e delle fasce paracolpi laterali diventa semilucido (e privo di cornici cromate), mentre la mascherina anteriore, che incorpora il nuovo logo a 5 barre oblique, ha una differente reticolatura. Frontale, paraurti e fasce si fanno infine più squadrati. Queste modifiche hanno il merito di staccarsi stilisticamente dall’estetica della “132” e di rendere la vettura più ‘importante’, senza naturalmente riuscire a nascondere l’età del progetto. Si registra anche il lancio dell’inedita (per la Fiat) versione turbodiesel. La nuova gamma comprende la “100” (1585cc, 98cv), la “120 i.e.” (1995cc, 122cv); la “DS” (2499cc, 72cv) e la “Turbo DS” (2445cc, 90cv). Nel 1984 viene lanciata anche la “SX” (“VX” per i mercati esteri), equipaggiata col 4 cilindri di 1995cc dotato di compressorevolumetrico da 136cv. È però una mossa tardiva per sostenere un modello ormai obsoleto che nel 1985 lascia, senza rimpianti, il listino, rimpiazzato dalla “Croma”. A0334

fiat argenta  Articolo in collaborazione con : http://www.autoemotodepoca.altervista.org
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Una risposta a “ALFA 6 / ALFA 90 / FIAT ARGENTA – Tre flop targati made in Italy”

  1. E’ bello rivivere certe emozioni, grazie alle belle foto che avete mostrato, alla storia che avete raccontato. Queste auto parlano e fanno affiorare ricordi indelebili. Allora le tedesche non ci favevano un baffo

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