16 Marzo 1978 – La STRAGE DI VIA FANI

La strage di Via Fani

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La strage di Via Fani

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L’agguato di via Fani (o la strage di via Fani) fu un sanguinoso attacco terroristico compiuto da militanti delle Brigate Rosse il mattino del 16 marzo 1978 in via Mario Fani a Roma, per uccidere i componenti della scorta di Aldo Moro e sequestrare l’importante esponente politico della Democrazia Cristiana. Questo tragico fatto di sangue degli anni di piombo, portato a termine con successo dai brigatisti rossi, fu il primo atto del drammatico rapimento dell’esponente politico che si concluse dopo 55 giorni con il ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Michelangelo Caetani.

Le modalità precise dell’agguato (denominato in codice all’interno delle Brigate Rosse operazione «Fritz»), i dettagli operativi, le circostanze precedenti e successive all’attacco, le responsabilità, i componenti del gruppo di fuoco terroristico, l’eventuale presenza di altre componenti estranee alle Brigate Rosse o di connivenze e aiuti esterni, sono tutti aspetti della vicenda aspramente dibattuti in sede processuale, parlamentare e pubblicistica.

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In sede di consuntivo permangono indubbiamente alcuni elementi poco chiari riguardo agli avvenimenti del 16 marzo 1978 anche se, nel complesso, la maggior parte dei particolari fondamentali dell’agguato è ormai stata accertata con buona approssimazione. Secondo Andrea Colombo le dichiarazioni dei brigatisti sono sostanzialmente concordanti e in pratica non c’è alcun elemento per ritenere che «fatti sconosciuti» di rilievo esistano e possano modificare «la ricostruzione tecnica o la valutazione storico-politica» dell’agguato di via Fani.

I dettagli più importanti che meriterebbero un chiarimento sono: l’eventuale presenza di una moto Honda sul luogo della strage e l’identità delle due persone a bordo; il numero effettivo dei componenti del gruppo brigatista presente in via Fani (è possibile infatti che il nucleo fosse più numeroso e che almeno altre tre persone fossero coinvolte, tra cui almeno una che avrebbe sparato da destra contro la Fiat 130 all’inizio dello scontro a fuoco);

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la questione delle borse di Moro e del loro effettivo contenuto; la scomparsa delle foto scattate da un abitante della zona subito dopo l’agguato e mai ritrovate; la dinamica esatta del trasbordo finale della cassa con Moro e del percorso compiuto dai brigatisti fino in via Montalcini 8. Resterebbe inoltre da chiarire l’eventualità, che sembrerebbe di riscontrare da alcune circostanze singolari, che i servizi segreti fossero a conoscenza in anticipo dell’attacco brigatista.

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Nonostante la presenza di questi elementi, secondo il magistrato Carlo Nordio (consulente della Commissione Stragi) dal punto di vista tecnico l’esito dell’agguato, con l’annientamento completo della scorta in pochi secondi, non presenta aspetti importanti inspiegabili, ma derivò sostanzialmente dalla «sproporzione tra l’efficienza operativa del gruppo di fuoco brigatista e l’incauto dilettantismo della scorta e di chi l’aveva istruita».

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Alle stesse conclusioni erano già giunti i consulenti della Commissione Moro che sottolinearono l’importanza decisiva del fattore sorpresa, descrissero le capacità tecnico-militari dei brigatisti come di «livello medio» e valutarono l’agguato come «abbastanza agevole anche per individui non addestrati in modo speciale». I consulenti evidenziarono soprattutto l’accurata pianificazione dei brigatisti e la loro approfondita conoscenza dei luoghi e delle abitudini dell’obiettivo.

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Infine sottolinearono come la «criminale efficienza» dei brigatisti derivò dalla loro forte determinazione e dalla grande motivazione. Essi conclusero smentendo decisamente la tesi secondo la quale, per le sue modalità e i suoi risultati, l’agguato di via Fani avrebbe richiesto il contributo di esperti militari e di particolari addestramenti specifici.

Dal punto di vista dei brigatisti, Valerio Morucci, che definisce gli uomini della scorta «vigili e pronti», ha evidenziato come anche la fortuna aiutò i terroristi e come il mattino del 16 marzo non si verificarono imprevisti significativi, tranne «l’inevitabile inceppamento di alcune armi».

Franco Bonisoli e Raffaele Fiore hanno parlato della grande coesione del gruppo dei brigatisti «superiore a quella di un normale commando»: Bonisoli in particolare, ha minimizzato le carenze degli agenti di scorta e ha evidenziato la rapidità di esecuzione della complessa operazione.

Il bilancio finale dell’agguato di via Fani fu di cinque morti (Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Domenico Ricci) e un ostaggio. Quei cinque cadaveri furono cinque macigni che pesarono, nei due mesi successivi, sulle polemiche tra i sostenitori della fermezza e quelli della trattativa: prevalse la linea dura e la loro morte fu tra le ragioni che impedirono allo Stato di scendere a patti con il terrorismo.

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